Un grandissimo campione racconta il suo dramma personale: nonostante le sue vittorie e la fama in tutto il mondo stava per farlo
Grandi campioni, ma in fondo uomini e donne sole, lo abbiamo capito sempre di più con il tempo. Il mondo dello sport è un insieme di atleti, di risultati e di primati. Anche chi ne ottiene in serie, però, può essere fragile al punto da pensare al suicidio.
Ultimamente sta succedendo sempre più spesso anche nel mondo del nuoto e la scorsa primavera abbiamo dovuto registrare uno stop clamoroso. In pochi mesi nel 2022 ci sono stati i Mondiali di Budapest, gli Europei di Roma e i Mondiali in vasca corta a Melbourne. Sette mesi intensi tra allenamenti e gare, senza dimenticare quello che era già successo un anno prima con le Olimpiadi posticipate per la prima volta nella storia.
Poi ancora i Mondiali di Fukuoka la scorsa estate, gli Europei in vasca corta che arriveranno a dicembre. E di nuovo una rassegna iridata anticipata a febbraio 2024 a Doha, più le Olimpiadi del prossimo luglio a Parigi.
Non tutti hanno saputo reggere la pressione fisica e psicologica, perché c’è chi sta gareggiando ad altissimi livelli da più di dieci anni e ha chiesto a gran voce una pausa. Come Adam Peaty, che avrebbe dovuto sfidare Nicolò Martinenghi in Giappone ma non è stato così.
Il campione britannico ha riscritto i libri della rana con numeri impressionanti. Ha vinto tre ori e due argenti ai Giochi Olimpici, otto medaglie d’oro ai Mondiali e ben 16 agli Europei. E poi ci sono i crono, come il suo record del mondo nei 100 rana. Dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020 per lui è come se si fosse spenta la luce, tra problemi fisici che lo hanno limitato costringendolo a saltare appuntamenti importanti, e voglia di riposarsi.
Scioccante rivelazione di una leggenda dello sport, non aveva più voglia di vivere
Prima dei Mondiali in Giappone, come una mazzata è arrivato il suo forfait. Peaty aveva deciso di smettere con gli allenamenti e nessuno sa dire quando tornerà in vasca per lottare contro il cronometro e i suoi avversari. Ha spiegato in pochi sanno capire cosa significano veramente le vittorie e il successo nella testa di un atleta. E non sanno quale tipo di pressione si genera all’esterno, ma anche dentro di sé.
Così la mente è tornata a quello che prima di lui aveva vissuto sulla sua pelle anche un altri grandissimo della vasca, anche più grande di lui. Perché Michael Phelps ha messo insieme 28 medaglie ai Giochi Olimpici e 23 di queste sono state d’oro, più tutti i titoli mondiali individuali e in staffetta conquistati per gli Stati Uniti.
Eppure anche lui ha rischiato di soccombere alla pressione. Lo ha raccontato ancora una volta negli ultimi giorni, ospite del World Business Forum. Nel 2004 un primo accenno di depressione molto forte che è tornata dieci anni dopo. Gli era passata la voglia di vivere, così non si nutriva e ha dovuto affrontare un percorso in un centro di recupero mentale.
Un lungo cammino che gli è servito per ritrovare autostima e uscire dal suo buco: “Ho anche pensato al suicidio e voglio aiutare queste persone. C’è la luce alla fine del tunnel. Parlare di questi problemi mi ha salvato la vita”. E oggi si sta adoperando per portare la sua esperienza a vantaggio di cui deve affrontare gli stessi demoni.